“Le industrie automobilistiche del Regno Unito e del resto d’Europa sono oggi strettamente integrate dai punti di vista economico, normativo e tecnico. Qualunque cambiamento a questo livello di integrazione avrà quasi certamente un impatto negativo sui produttori di automobili che operano nell’UE e nel Regno Unito, come pure sull’economia europea in generale.”
Con queste parole Erik Jonnaert, segretario generale della A.C.E.A, l’associazione europea dei produttori di automobili, ha riassunto l’allarme lanciato recentemente in un meeting a Bruxelles, riguardante i possibili effetti della Brexit nel settore.
L’industria automobilistica rappresenta infatti il 6,5% del PIL dell’Unione, gestisce circa 300 impianti di produzione e assemblaggio in tutto il continente, e dà lavoro ad oltre 12 milioni di persone. A differenza di altre industrie, inoltre, quella automobilistica è caratterizzata da produzioni e lavorazioni dislocate nello spazio anche oltre i confini dei singoli stati. Il prodotto “automobile”, per sua natura, è un assemblaggio di parti concepite e realizzate da diversi fornitori: dagli pneumatici ai freni, dagli impianti elettrici agli interni, dai motori alle più minute parti della carrozzeria, che convergono infine alla casa automobilistica che assembla il tutto e da il nome al modello. È stato calcolato che un’auto è composta da circa 30.000 parti, assemblate in un centinaio di fasi produttive diverse. Questo processo prevede dunque acquisto e vendita di tali componenti, trasporti da un impianto all’altro, e ovviamente tasse e passaggi di dogane e confini.
Qualunque cambiamento a questo livello di integrazione avrà quasi certamente un impatto negativo sui produttori di automobili che operano nell’UE e nel Regno Unito
Le aziende operanti sul mercato europeo, che finora hanno goduto dell’unione doganale dei paesi membri dell’UE, non sono soltanto le grandi marche native dei paesi membri come BMW, Fiat, Audi, Renault, Opel, Daimler, Volvo, Volkswagen ecc. Dell’ACEA fanno parte anche case extraeuropee come Toyota, Hyundai e Ford con le loro fabbriche e rappresentanze nel vecchio continente. L’uscita del Regno Unito da questo circolo di regole, standard e tariffe uguali per tutti preoccupa i produttori per le inevitabili conseguenze economiche: si teme che i dazi, le normative e le procedure doganali tornino a differenziarsi, andando a incidere sul mercato delle auto. Secondo le stime di A.C.E.A le tasse potrebbero variare del 10% per le auto private, dal 10 al 22% per i veicoli commerciali, e del 3 o 4% per i ricambi e la componentistica.
Non di meno sono preoccupati costruttori e fornitori che operano nel Regno Unito, o le cui produzioni dipendono da fornitori locali. L’Unione Europea rappresenta infatti il maggior mercato per l’industria automobilistica britannica: la metà delle auto e addirittura il 90% dei veicoli commerciali prodotti sull’isola sono stati venduti sul continente. Sulla rotta contraria, provengono dall’Unione Europea oltre l’80% dei veicoli a motore importati dal Regno Unito lo scorso anno, e 7 auto su 10 vendute ai sudditi di Elisabetta sono state costruite in fabbriche europee. Il giro d’affari di questo commercio ammonta a ben 42 miliardi di euro ed è facilmente comprensibile come anche minime variazioni sulle tariffe doganali possano incidere a fondo sull’economia di entrambe le sponde della Manica.